“You can share your cancer”

Voglio finire questo anno con un’esperienza particolare che mi è capitata un paio di settimane fa. Sono andata alla presentazione di un libro, Biohacker. Scienza aperta e società dell’informazione, di Alessandro Delfanti, Elèuthera, 2013. Si tratta di un piccolo libro che racconta i casi di tre personaggi decisamente diversi fra loro, il biologo Craig Venter, la virologa Ilaria Capua e l’artista e docente di Interaction Design (e come scopriremo, molto altro) Salvatore Iaconesi.

Quello che mi aspettavo era di sentir parlare di politiche open nel campo scientifico. Conoscevo solo il caso di Ilaria Capua (qui in un video recente dall’ultimo TEDx Trento) e pensavo che la grandezza del suo nome e di quello di Venter sarebbe stata lo spunto per un discorso ampio e, probabilmente, politico.

Però Salvatore Iaconesi e la sua compagna, Oriana Persico, erano presenti e hanno potuto raccontare direttamente la loro storia. Circa un anno fa, a Salvatore è stato diagnosticato un tumore al cervello. Ne è seguito il prevedibile ricovero e la trasformazione in “paziente”. Come tutti sappiamo (ma moltiplichiamolo per il numero corrispondente alla gravità della situazione), quando si diventa pazienti non si è più trattati interamente come persone, come esseri umani. Si è trattati come i portatori di una condizione, che è quella che interessa i medici (naturalmente, anche con buoni motivi). Inoltre, si diventa produttori di dati, i propri dati clinici. In un certo senso, si viene identificati con il proprio set di dati. Che sono però inaccessibili. Salvatore, per un’esigenza sua, il desiderio di vedere un’immagine del tumore che si portava in testa, ha tentato dapprima di chiedere la documentazione relativa al suo stato. Si è scontrato con una procedura iper-burocratica che gliel’ha sostanzialmente negato. E se ne è tornato a casa, desiderando non solo di guarire, ma anche (e immediatamente) di tornare ad essere un essere umano e non la propria condizione.

Da casa, ha chiesto e finalmente ottenuto tutti i suoi dati clinici, scoprendoli però ancora non accessibili a causa di due ordini di problemi: il formato dei dati e, una volta che il formato è stato modificato e letto (hacking), la loro complessità e la necessità di trovare competenze per la loro interpretazione.

Perciò ha compiuto un gesto di totale apertura: li ha messi online su un sito dedicato, chiamato La cura, e si è rivolto al mondo con un video in cui chiedeva le cure, cioè di costruire una rete sociale di elaborazione intorno al suo problema, una rete che comprendesse le cure mediche, ma che non si limitasse a queste. Ha avuto in risposta una enorme quantità di contatti, consigli, opere d’arte e indicazioni mediche, grazie alle quali è guarito.

Salvatore ha descritto tutto questo come il tentativo, riuscito, di riappropriarsi di uno spazio di autonomia e del proprio essere umani, di definire una malattia come un evento non esclusivamente individuale, di spostare un po’ più in là i limiti di quanto si ritiene normalmente possibile fare. Restando al di fuori di una possibile contrapposizione fra scienza e medicina da un lato, e alternative diverse dall’altro. Mostrando come la sua scelta si sia rivelata una potenzialità liberatoria per tutti (medici compresi). Infine facendo della sua storia individuale un esempio concreto di che cosa possa significare realmente l’idea di rendere aperti e disponibili a chiunque i dati, persino dati di questo tipo, probabilmente i più privati e intimi e spaventosi che riusciamo a immaginare. Con una serenità e una precisione che potete vedere anche nei video successivi, ad esempio questo del TED Med 2013.

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