Lo dico subito a scanso di equivoci: penso che se ci sono dei convegni a cui i bibliotecari (e l’AIB) dovrebbero assolutamente partecipare di questi tempi, si tratta di convegni come questo.
Sono stata a Rimini solo per la giornata finale, sabato 5 marzo, giornata intensa come d’altra parte mi hanno detto essere state le precedenti. Dato che tutti i materiali (registrazioni video, slide, discussioni) saranno rilasciati sul sito nei prossimi tempi, provo qui a darvi un’impressione generale, qualche dettaglio e, spero, a restituirvi un po’ di sensazioni.
Arriviamo alla fiera di Rimini che è appena cominciato l’intervento di Giorgio Spedicato dell’Università di Bologna, una panoramica dei concetti del diritto d’autore in gioco nell’editoria digitale. Dal fallimento della politica del DRM nell’industria discografica (che ha tentato di rendere tecnicamente impossibile compiere un illecito) al social DRM, sistema inteso a dissuadere dal compiere illeciti (siccome è più facile vederlo in opera che spiegarlo, vi rimando all’immagine che trovate in questo post). Dai rapporti fra autore ed editore alla tipologia di contratti più adatti all’ebook. In generale, un intero mondo di norme da riformare. Vale come esempio la storia dei libri di Ian Fleming, l’ideatore del personaggio di James Bond, i cui libri sono ancora in commercio ma per i quali Penguin, l’editore che a suo tempo ne acquistò i diritti, non può produrre degli ebook. A quel tempo i diritti sulla digitalizzazione non avevano ragione di essere. Non essendo espressamente previsti nei contratti, non si possono considerare trasferiti in modo implicito o in senso estensivo. “Tutti i diritti riservati”, insomma, significa “tutti quelli citati nel contratto”.
A quanto detto da Spedicato si possono ricollegare nel corso della giornata gli interventi di Antonella De Robbio e Alessandro Bottoni, personaggi meno diversi fra loro di quanto si potrebbe supporre dalle loro qualifiche: bibliotecaria a 360° gradi la prima, segretario del Partito Pirata italiano il secondo.
Antonella De Robbio illustra – ad una platea prevalentemente composta da editori e operatori della comunicazione – la molteplicità delle problematiche legate ai diritti che hanno un impatto sui servizi delle biblioteche. “A ciascuno il suo” è il titolo del suo intervento, sull’onda dell’idea che le biblioteche debbano spingere per un bilanciamento dei diritti di proprietà e di quelli di accesso. Il quadro sottostante, quello di grandi progetti di digitalizzazione divisi fra quelli “pubblici” riguardanti le opere di pubblico dominio, le piattaforme commerciali e le piattaforme “pseudopirata”, e un mercato degli ebook contrassegnato in Europa da un’IVA alta (20% contro il tradizionale 4% dei libri) e una normativa non favorevole.
Le biblioteche potrebbero svolgere un ruolo di osservatori della situazione non solo rispetto all’evoluzione della normativa, ma anche a quello dei device. Su questo punto, si sottolineano i temi dell’interoperabilità e della standardizzazione dei formati e delle modalità di accesso ai contenuti.
Sul fronte dei servizi, invece, si tratta di discutere della sensatezza del servizio di prestito dei device agli utenti, e di esplorare le modalità del digital lending, che pare far collassare i concetti, in passato separati, di prestito e di distribuzione. E che assomiglia (troppo?), nel suo modello one title, one user al prestito di oggetti fisici.
Intervengono Gino Roncaglia per ricordare come la biblioteca abbia da sempre creato un mercato di lettori evoluti che aiuta il settore dell’editoria a crescere e Spedicato, obiettando che più di uno dei servizi che le biblioteche vorrebbero offrire in digitale è precluso dall’attuale normativa. Le biblioteche non possono dunque che seguire la strada del lobbying nei confronti di chi amministra il paese da un lato, e dell’aggregazione nella ricerca di accordi da stringere con gli editori dall’altro.
Alessandro Bottoni chiude un po’ il cerchio dei discorso chiarendo, per prima cosa, quale sia l’approccio del Partito Pirata in Italia: non certo l’abolizione del copyright quanto una riforma del diritto d’autore in senso più favorevole ad utenti e lettori. Il suo intervento è una breve guida al funzionamento tecnico del DRM, per intenderci in quanti e quali modi una chiave di cifra possa essere inserita nel pacchetto di file che acquistiamo come ebook, e che ci dovrebbe impedire di farne una copia e di stamparlo, ma che di fatto ci impedisce anche di farne un backup, di utilizzare lo stesso file su un secondo dispositivo e di prestarlo, tutti usi che un utente benintenzionato potrebbe legittimamente desiderare di fare.
Ovvero, è una breve guida a quanti e quali modi esistano per eliminarla, quella chiave di cifra, visto che non esiste DRM che non sia stato craccato e che pare che non esisterà in futuro (date un’occhiata a questo video).
La situazione non è molto diversa neppure per il watermark (social DRM), in cui si tratta quasi di semplice aritmetica: date 2 versioni di un ebook protetto da questo sistema, l’unica cosa che le rende diverse è… il watermark stesso, cosa che lo rende facilmente identificabile e quindi eliminabile.
Certo si tratta di cose non alla portata di tutti, ma di molti sì. Vale dunque la pena mettere nei guai l’utente che del suo ebook vuole fare un uso legittimo per una difesa che non funziona?
La domanda ha una risposta indiretta nella piccola presentazione che ha luogo durante la pausa pranzo, tenuta da Camilla Cerioli e Laura Re Fraschini, due giovanissime ricercatrici dell’Università Cattolica di Milano che raccontano i risultati di una ricerca appena svolta sulla reperibilità dei bestseller italiani nei canali pirata.
La ricerca, limitata nei numeri e nel periodo di tempo osservato, ha riguardato i primi 35 titoli nella classifica delle vendite pubblicata da Informazioni Editoriali nel febbraio 2011. Di questi, il 70% viene commercializzato anche in versione digitale, per la maggioranza protetta con DRM Adobe.
La reperibilità su canale web, Torrent ed Emule (rete kad) risulta del 46% sul totale. Si trovano anche titoli che non esistono in versione digitale legale. La qualità dei file è generalmente buona o discreta, specie per il formato epub. La narrativa è dominante. Il 61% dei titoli protetti da DRM Adobe è presente come copia pirata. Un’altra variabile considerata, il prezzo, porta a concludere che i titoli più piratati in generale sono quelli che non esistono in versione digitale legale e quelli con un prezzo alto.
Sembrerebbe di poter concludere che l’offerta di ebook sia inferiore alla domanda, e che il prezzo faccia la differenza. Il buon senso ha sempre qualcosa da dire… Difficile comunque non concordare con Bottoni quando dice che per l’editore la fiducia meritata dei lettori è l’unico modo efficace di difendersi dalla pirateria.
Ancora sul versante biblioteche: Giovanni Solimine sintetizza i dati sulla lettura e sulle biblioteche in Italia già presentati nel suo ultimo libro, L’Italia che legge. Qualche dato di base: la frequenza delle biblioteche tocca l’11% dei cittadini, e i titoli prestati dalle biblioteche rappresentano il 3-3,5% del valore del mercato librario, per un 5% totale dei libri letti. Un impatto quantitativo veramente basso, difficile da paragonare all’abitudine statunitense a frequentare le biblioteche e al 72% delle biblioteche pubbliche USA che già oggi prestano ebook.
Le biblioteche (anche universitarie) potrebbero avere un ruolo nello sviluppo dell’editoria digitale? Negli USA pare che sia successo. Bene allora prendere la strada della cooperazione, come nel caso di Medialibraryonline, mentre progetti come quello della Biblioteca di Cologno Monzese, che ha al suo attivo da qualche mese il prestito di device caricati di contenuti, pare rivestire un carattere prevalentemente sperimentale.
Restano aperti alcuni temi: indagare in quale misura oggetto del lavoro della biblioteca sia l’apprendimento e in quale la lettura. La doppia natura, sociale e documentaria, della biblioteca, e la possibilità che si riesca ad aggregare una comunità solo a partire dalla funzione documentaria specifica di questa istituzione. Il fatto che la crisi economica farà si che, in Italia, crollino le biblioteche che già oggi ricoprono un ruolo marginale, allargando la forbice fra ciò che funziona bene e ciò che è più debole e quindi meno difendibile.
(Magari, mi sentirei di aggiungere. Nella mia esperienza non c’è limite allo spreco di risorse neanche di fonte a tagli netti dei budget: si salva tutto e niente per amor della parola “biblioteca”, senza alcuna considerazione di quello che i cittadini mostrano di preferire).
Sta di fatto che, di fronte a numeri come 16.000 biblioteche in Italia, di cui 12.000 effettivamente funzionanti, e alle 6000 biblioteche pubbliche, di cui 2000 di buona qualità, non si sa bene cosa pensare. Qualcuno, dal pubblico, pensa semplicemente che siano troppe, paragonate ai loro risultati.
Le novità su Medialibrary sono illustrate da Giulio Blasi, e toccano diversi aspetti della piattaforma. I contenuti: è stato concluso l’accordo, operativo da maggio, con Edigita. Concretamente, questo significa prestito digitale dei titoli distribuiti dalla piattaforma (un nome? Feltrinelli), con download dei file, protetti da DRM Adobe, sul computer dell’utente finale, leggibili per 14 giorni. Inoltre una nuova collezione Casalini, un arricchimento sostanziale dei contenuti musicali (da 15.000 a 115.000 pezzi), titoli Springer per l’università (DRM free!), un accordo con Garamond per la scuola. Dal punto di vista gestionale, uno shop per i responsabili delle collezioni in cui sarà possibile scegliere i titoli uno ad uno e costruire puntualmente la propria collezione digitale.
Si è invece ancora indietro sul versante cinema. Sono ancora lontane soluzioni paragonabili a Netflix, servizio statunitense di noleggio film via web direttamente all’utente finale. L’interesse per questo campo è però molto alto, basti pensare ai 6 euro di costi di transazione che è possibile calcolare per ogni prestito di dvd o di cd in biblioteca, che vanno ad aggiungersi al costo dei contenuti. Recuperare la natura nativamente digitale di questi oggetti e distribuirli in un formato totalmente virtuale sembra essere un passaggio obbligato.
Anna Maria Tammaro tenta di delineare un quadro generale della posizione delle biblioteche rispetto al digitale rifacendosi ad un linguaggio e a un orizzonte mentale più tradizionalmente biblioteconomici. Sinceramente trovo però che non sia riuscita a comunicare efficacemente il suo punto di vista: forse, in un contesto di questo genere, puntare sui concetti della selezione dei titoli, dell’archiviazione e della catalogazione, senza apparentemente prendere atto dell’importanza dei cambiamenti in atto, può dare l’impressione di una certa autoreferenzialità della disciplina. Speriamo che occasioni future le diano modo di riprendere il discorso.
Ma non si parla di editoria innovativa senza esempi di prodotti finiti. Luca Pianigiani, già fra i creatori di Jumper Photo Magazine, un magazine sulla fotografia che ha scalato le classifiche di vendita per iPad (la storia qui), illustra in questo caso Music Album, applicazione iPad e Android, oggetto musicale composto da musica, video, animazioni, testo, interviste, il tutto a contenuto aggiornabile. L’idea è creare nuovi contenitori per la musica, che restituiscano un’esperienza immersiva all’ascolto oggi frammentato in miriadi di mp3.
E per finire.
Per finire, due presentazioni di aziende straniere attive nel campo dei servizi e della produzione dei contenuti. Per quella americana, Baker & Taylor, Joe Schick illustra Blio, applicazione software per e-reader (e store) che punta ad una fruizione arricchita dei contenuti, che vada oltre la semplice trasposizione di testo in formato digitale. Fra gli altri, libri illustrati per bambini, manuali di cucina, libro+audio con funzione text-to-speech (attenzione particolare per le disabilità visive), titoli per la didattica dal cui testo si può partire per controllare online le proprie risorse di reference preferite, tutti contenuti portabili su device diversi. Da giugno 2011 Blio sarà anche partner delle biblioteche pubbliche e scolastiche USA, sempre secondo il modello one copy, one user, mentre in Italia il primo partner di Blio è Simplicissimus.
Della presentazione dell’azienda inglese Touch Press parlo per ultima perché è quella che ha strappato più applausi in tutta la giornata. Max Whitby ci racconta per prima la storia di The Elements, progetto nato dal collezionismo tutto fisico di un appassionato (a dal suo tavolo di legno!) e divenuto nel corso del tempo libro fotografico, poster, sito web e infine ebook nella forma di un’applicazione per iPad. Di quest’ultima è inutile dire quanto sia bella la grafica o che è integrata col raffinatissimo motore di ricerca Wolfram Alpha. Potete semplicemente vederla (ci sono anche il collezionista e il suo tavolo).
L’idea che sta dietro anche al nome – trasparente – dell’azienda, è il ripensamento alla radice di cosa significhi essere un editore oggi, in un contesto di cambiamenti rapidissimi e definitivi (“disrupting” dice Whitby). Autori, editori e ingegneri software partecipano in Touch Press a creare prodotti che siano altro rispetto al libro tradizionale, che creino un’esperienza per il lettore. Interessante anche un altro dato, però: libro a stampa ed app iPad continuano a vendere entrambi, non si sostituiscono e anzi, probabilmente, si promuovono a vicenda.
Seconda applicazione: Solar System, grafica mozzafiato, interattività spinta, canzone di Bjork inclusa. Provate a parlare di astronomia con un bambino con questo oggetto fra le mani…
E infine, quando ci siamo ormai convinti che Touch Press si occupi di divulgazione scientifica, ecco arrivare una vera anteprima, The Waste Land, applicazione per iPad del poema di T. S. Eliot. Alla prima occhiata, un testo integrale accompagnato dal video di un’attrice che lo recita. Un video-libro, che si può scorrere in avanti e indietro, facendo ripartire la lettura-recitazione dove si vuole. Poi appaiono i contenuti aggiuntivi: un paratesto di interventi di esperti di Eliot e, a sorpresa, alcune versioni audio lette da voci differenti. Per farvi un’idea, ascoltate un po’ della registrazione del testo che fece lo stesso Eliot (si trova su Open Culture) e immaginate di metterla a confronto con altre, più moderne, fatte con stili differenti, e di poter intanto leggere il testo (sì, perché questo è un libro, dopotutto!).
Quanto costano applicazioni come queste? Per produrle, dai 50.000 ai 250.000 dollari. Per il pubblico, intorno ai 15, ma sono così tante le copie vendute che il modello non solo si sostiene, ma rende.
In conclusione di questo post già troppo lungo.
Ringrazio Antonio Tombolini di Simplicissimus e la sua organizzazione per avermi gentilmente accordato un accredito stampa.
Segnalo, lasciandolo alle vostre considerazioni, questo twit che qualcuno ha lanciato nell’incredibile backchannel che ha accompagnato la giornata (già disponibile come documento a sé in diversi formati):
“S a t , 0 5 M a r 2 0 1 1 – 1 6 : 1 1 : 4 0
Non so, continuo a pensare alla pirateria come alla migliore delle biblioteche possibili, condivisione ed accesso alla conoscenza”
In via del tutto personale, credo che fra qualche anno mi ricorderò dei libri cartacei in un modo simile a cui ricordo oggi i libri per bambini di quando ero piccola: erano bruttissimi ;-)