Avviso ai naviganti: quando il pubblico delle biblioteche non è solo un pubblico di lettori

Martedì sera sono stata ospite della biblioteca di Cologno Monzese per il corso Avviso ai naviganti, ciclo di lezioni indirizzate al pubblico della biblioteca (e non solo, visto che per pubblicizzare l’iniziativa è stato fatto anche uno spot mandato in onda su Radio Popolare), e pensate per “valorizzare e far circolare i ‘saperi della rete’, dando corpo e sostanza all’idea di un web partecipato, attivo, democratico”. Chi conosce i colleghi di Cologno riconoscerà sicuramente il loro stile in queste righe…

Segnalo questa iniziativa non perché mi ha visto fra i relatori (se guardate i nomi presenti troverete persone decisamente più famose di me!), ma perché ha diversi motivi di interesse.

Prima di tutto, è un corso per gli utenti che supera l’idea che in biblioteca i corsi debbano necessariamente riguardare libro e lettura in senso stretto. Inoltre è un’iniziativa di ampio respiro, che cerca di affrontare il tema a 360 gradi e che coinvolge professionalità diverse. Ha anche un orientamento pratico: al termine delle lezioni è prevista la costituzione di gruppi di navigazione simili all’esperienza dei gruppi di lettura, per esplorare direttamente i temi trattati e “sporcarsi le mani” (la partecipazione non può essere solo oggetto di conferenze!).

Ma Avviso ai naviganti si segnala anche per i canali di diffusione che utilizza: oltre ad assistere fisicamente alle lezioni, ogni martedì sera potete collegarvi al sito della biblioteca, vedere in streaming la lezione, chattare con le altre persone presenti sulla piattaforma e rivolgere domande in diretta. Per intenderci, insomma, il modello di Oilproject. Dopo qualche giorno, è possibile anche vedere e scaricare i video delle lezioni passate.

Il corso si inquadra nell’ambito più vasto di La biblioteca ti legge il futuro, insieme di iniziative che riprende la direzione dei corsi di alfabetizzazione informatica svolti in passato dalla biblioteca. Ora si tratta invece di dare in prestito lettori e-book, aprire una rete wireless ed ampliare le possibilità di usufruire del prestito tradizionale di libri (davanti alla biblioteca c’è un’enoteca che funge da punto di distribuzione: un modello replicabile in modo piuttosto semplice).

Le mie impressioni da relatrice? un pubblico attento, che è rimasto fino alla fine (e come sempre mi sono dilungata un po’ troppo), e – cosa ancora più rilevante – di età piuttosto variabile, segno mi pare di un radicamento forte della biblioteca di Cologno e della sua capacità di coinvolgere un pubblico “trasversale”.

Interessante anche l’esperienza delle domande arrivate via chat: quasi tutte difficilissime e a cui naturalmente io non ho saputo rispondere con precisione, ma segno di una curiosità e di una voglia di partecipazione in cui mi sono pienamente riconosciuta: se assisterete alle prossime lezioni in streaming o a quelle di Oilproject vedrete spesso una virna che non sta mai zitta…! ;-)

Queste le slide, da guardare ricordando che non si trattava di un corso indirizzato a bibliotecari e che quindi molti temi di nostro interesse sono stati semplicemente accennati.

Bit Knowledge: non solo Google Books (?)

La mattina del 19 marzo ho partecipato a La “Bit Knowledge”: la digitalizzazione della conoscenza, secondo appuntamento di formazione del ciclo Bibliotech curato dall’Università di Bologna insieme a Comune ed AIB Emilia-Romagna.

Proprio in questi giorni si sta sviluppando su AIB-CUR un dibattito che io trovo piuttosto interessante (Accordo MiBAC – Google), che ha in qualche modo fornito un quadro dei dubbi e delle riflessioni che possono nascere intorno al recente accordo fra Google Books e Ministero dei beni culturali, oggetto principale di questo incontro. Siamo perciò arrivati già con diverse idee in testa e voglio ringraziare chi ha partecipato al dibattito in lista anche per i toni costruttivi con cui si è svolto!

Ecco comunque il mio piccolo resoconto.

Anna Ortigari ha brevemente introdotto la giornata citando “vecchi” progetti di digitalizzazione come Manuzio e Alm@-DL. La mancanza di un quadro progettuale complessivo nella Biblioteca Digitale Italiana e la percentuale dell’1,5% di libri italiani presenti sui 6 milioni di testi in Europeana segnalano però l’incertezza del panorama generale delle digitalizzazioni italiane.

Apre gli interventi Gian Mario Anselmi, studioso di letteratura, direttore di Griselda online, la maggiore rivista elettronica italiana di letteratura nonché (cosa che per me ha un particolare significato in questo momento), presidente dell’Istituzione Biblioteche del Comune di Bologna.

Devo dire che Anselmi, di cui avevo un vago ricordo dai tempi dell’Università, mi è piaciuto!

Oltre a raccontare i motivi dello stato di impasse piuttosto faticoso che vive l’Istituzione (prevalentemente politici, e – aggiungo io – per chi ci lavora dentro il segno di un’autentica disfatta della tradizione della buona amministrazione pubblica bolognese), ha delineato con una certa passione un quadro ricco e articolato delle sfide che le biblioteche fronteggiano. La prima parola che Anselmi ha scelto non è libri, non è cultura, ma neppure accesso. E’ formazione. Contro la polarizzazione che vede demonizzatori da una parte ed entusiasti a tutti i costi dall’altra, ha parlato della necessità di un’integrazione del mondo del libro con la rete e di quella formazione all’uso della rete che risulta invece assente a tutti i livelli, dalla scuola all’università alla biblioteca pubblica. Non a caso, Anselmi cita I barbari di Baricco come esempio di un’idea di cultura con meno barriere, più dinamica e aperta a tutti.

Digitalizzare, dunque, è fondamentale in questo momento ma è solo il primo passo.

Antonia Ida Fontana, direttrice della Biblioteca nazionale di Firenze, ha descritto nel dettaglio i termini dell’accordo fra il ministro Bondi e Google Books: la digitalizzazione di un milione di volumi forniti dalle due centrali (Firenze e Roma), compresa la produzione “minore” costituita da opuscoli, miscellanee e simili, pubblicati fra il 1700 e il 1870. I limiti temporali sono dovuti alla necessità di essere certi che le opere interessate dal progetto siano in regime di pubblico dominio. Prime interessate saranno le opere del Risorgimento italiano, in previsione del cadere dei 150 anni dall’unità d’Italia.

La contrattazione con Google ha portato all’accoglimento di alcune fondamentali richieste da parte delle biblioteche:

In primo luogo, correttezza degli accessi e authority file resteranno competenze delle biblioteche, mentre Google rivestirà il ruolo di partner tecnologico del progetto. Questa sembra una prima positiva risposta all’obiezione relativa alla scarsa qualità dei metadati presenti in Google Books, anche se comporterà un ritardo di un paio d’anni nell’avvio del progetto, necessari per ovviare alle attuali lacune in materia di catalogazione.

La presenza delle digitalizzazioni su più piattaforme: oltre a Google libri, saranno garantiti gli accessi a partire da opac SBN, da The European Library e da Europeana.

Diffusione gratuita: Google non potrà effettuare vendite delle digitalizzazioni effettuate senza rivedere i termini del contratto con le biblioteche.

Non esclusività: le biblioteche mantengono tutti i diritti sulle digitalizzazioni, fatta eccezione per quello di vendere ad altri concorrenti commerciali gli stessi oggetti.

Il processo fisico di digitalizzazione avverrà in Italia per motivi di sicurezza e di preservazione del patrimonio, ed escluderà materiali particolarmente fragili come i libri in cattive condizioni, di formati particolari o contenenti tavole ripiegate.

Antonia Ida Fontana riconosce che, di fronte al fatto che il governo italiano non ha praticamente impegnato risorse in questo campo, l’importanza dell’accordo con Google è semplicemente fuori discussione (concordo con tutto il cuore). Restano però, come grandi punti interrogativi aperti, le opere precedenti il 1700 e, soprattutto, quelle seguenti il 1870.

Per quanto riguarda la stampa antica, il punto interrogativo può trovare risposta in un altro grande progetto di cui viene riferito, questa volta il collaborazione con Proquest, che ha già al suo attivo la digitalizzazione di tutti i libri inglesi pre-1700. Si tratterebbe in questo caso della creazione di un database di digitalizzazioni di qualità superiore a quella prevista da Google Books, adeguata al materiale di pregio, e sempre con metadati forniti dalle biblioteche centrali. La banca dati sarà messa in vendita, ma sarà garantito l’accesso gratuito per chi si colleghi dall’Italia.

Lo sdoppiamento in due progetti con due diversi partner, caratterizzati da fini e livelli di qualità diversi, costituisce anche una risposta alla seconda obiezione classica che viene fatta nei confronti di Google Books, quella di usufruire di una posizione monopolistica dominante.

Resta spalancato invece il tema dell’editoria del novecento e contemporanea, che si risolve in alcune grandi classi di problemi.

La prima è la questione delle opere orfane (quelle nella situazione kafkiana di essere ancora coperte da diritti d’autore ma di cui non si conoscono i detentori dei diritti). Alla necessità di delineare linee guida per la ricerca dei detentori dei diritti e di creare un relativo registro risponde il progetto Arrow di AIE (di cui avevo già sentito parlare a Napoli).

La seconda è quella delle opere coperte da diritto d’autore ma fuori commercio, che non rientrano cioè nella reale distribuzione commerciale. Interessante l’esperienza della biblioteca statale di Monaco di Baviera che, stringendo accordi diretti con gli editori, ha acquistato le licenze di digitalizzazione di molte opere di questo tipo, ad esempio di importanti piccoli editori. Il risultato? Oltre all’accesso digitale, la rivitalizzazione commerciale di un piccolo settore editoriale di nicchia. Gli editori, insomma, hanno ricominciato almeno in parte a ripubblicare e a vendere queste opere.

Per finire, con un certo piacere ho sentito la direttrice della maggiore istituzione esistente in Italia in materia di conservazione libraria affermare, a proposito della funzione futura del libro, che non di formati si tratta.

Nel mio piccolo ho sempre visto “il futuro del libro” come un falso problema che, semplicemente, confonde il mezzo coi fini. Testo e lettura probabilmente non moriranno, poco importa se l’inchiostro è quello della biro o quello elettronico e, alla fine, non è poi neanche detto che dopo l’impero millenario del testo non nasca qualcosa di migliore… (ma questo naturalmente è il mio pensiero, non quello della direttrice della centrale!)

Luca Burioni, libraio con un’esperienza digitale di vecchia data, ha voluto porre l’accento su alcune criticità del panorama editoriale attuale, a partire dalla constatazione che il sistema attuale di governo di questo settore è in completo mutamento.
Interessante mi è parso soprattutto il richiamo all’ordine di grandezza dei fenomeni di cui stiamo parlando, alla scala del mercato. Per intenderci, confrontiamo l’ordine di grandezza degli scambi comunicativi che avvengono su giganti come Google e Facebook (ormai in gara diretta per numero di accessi) con quelli del mondo passato dell’editoria e della cultura! Insomma il rassicurante mondo del passato si configura come il mondo della scarsità rispetto all’attuale abbondanza? In ogni caso, è quello che accadrà nel mercato consumer (nel grande mercato di massa) a determinare cosa accadrà anche all’editoria accademica del futuro.

Il mercato della distribuzione di contenuti sarà determinato da tre giganti come Amazon, Google e Apple, per i quali – si noti – i libri sono strumentali a specifici interessi aziendali anziché oggetto primario di attenzione. Va compreso cosa questo comporti. Ammesso che il mondo attuale sia quello di una nuova abbondanza, occorre prestare attenzione a come si evolverà. Burioni cita ad esempio l’articolo For the love of culture di Lawrence Lessig (su The New Republic) in cui Lessig – nel contesto di un quadro generale elogiativo del progetto Google Books – parla di come si possa modificare l’accesso alla cultura e dell’attenzione dovuta all’evoluzione dei diritti di accesso ed uso.

Infine uno scorcio sulle caratteristiche dell’editoria italiana rispetto alle evoluzione dell’ebook. Mentre si può considerare cosa normale che sei grandi gruppi coprano circa il 60% del mercato (grandi gruppi editoriali sono garanzia di un mercato vitale), diverso da quello di altri paesi è il panorama della distribuzione libraria, qui meno autonoma dai gruppi editoriali. Questo blocca il mercato italiano e sarà interessante vedere come nuovi competitori riusciranno ad inserirvisi.
Spetta poi la parola a Simona Panseri, responsabile della comunicazione di Google Italia. Avere in seminari professionali persone provenienti da esperienze diverse è sempre una ricchezza, tanto più in questo caso in cui la voce di Google è davvero rilevante.

In modo semplice ed allo stesso tempo provocatorio, Panseri inizia dicendo che Google si pone dal punto di vista dell’utente prima di tutto (noi l’abbiamo davvero fatto?). Se è ovvio che il modello di business dell’azienda è quello della vendita di spazi pubblicitari, sua mission è quella di rendere i contenuti accessibili. Google non è infatti una media company, non possiede i contenuti, bensì lavora sull’intermediazione (anche questo ci ricorda qualcosa), pur non sostituendosi né agli editori, né alle biblioteche. Che i libri siano un suo naturale interesse va letto in quest’ottica, specie se si ricorda il fenomeno della lunga coda generato dal digitale. L’obiettivo è ottenere la migliore esperienza d’uso possibile nel mondo della ricerca.
Secondo punto decisivo, spostare l’attenzione dal processo fonti-notizie a favore della direzione inversa: mentre tutti noi (per motivi generazionali ancor prima che professionali) siamo stati abituati a cercare il tipo di notizia che avevamo in mente sulla fonte che appariva più appropriata, oggi il processo si è invertito, si cerca il contenuto e, quando lo si trova, si risale alla fonte. Cambia il metodo di ricerca e si assiste ad una moltiplicazione delle fonti. Libri e i giornali mantengono il loro ruolo, ma all’interno di un contesto molto più ricco e complesso. Per questo la forma in cui si manifesta il contenuto (libro, ebook, ecc.) è poco rilevante.

Per tornare al grande problema dell’editoria contemporanea, completamente diverso ovviamente dal quadro delle digitalizzazioni di opere di pubblico dominio o fuori commercio, in questo caso Google sta cercando accordi con gli editori che prevedono la digitalizzazione di una percentuale variabile di contenuti (dal 20 all’80%), leggibili dall’utente ma non scaricabili.

Risulta comunque ancora in corso di definizione il Google Settlement che dovrebbe definire i termini legali e contrattuali vigenti in questo campo. Ma solo per la giurisdizione USA! Il lavoro con l’Europa, se ci sarà (ma qualcosa mi fa pensare di sì…) è ancora tutto da fare, anche considerando le differenze fra copyright e sistema europeo della proprietà intellettuale.
ù In definitiva è stata una mattinata piuttosto ricca, come non ne vedevo da un po’ di tempo. Ben vengano quindi i prossimi incontri di Bibliotech!