Che succede alle pagine Facebook?

Per alcuni anni ho tenuto corsi sulla comunicazione per le biblioteche. Ho sempre cercato di trattare il tema da diversi punti di vista e di portare ad esempio strumenti diversi come i blog, Facebook e Twitter. Col tempo mi sono resa conto che tutti si interessavano di Facebook più che di ogni altra cosa, scelta d’altra parte corretta per il mondo delle biblioteche pubbliche, per il quale la somma ottenuta dagli elementi (mezzo ad amplissima diffusione + generalista + gratuito) dava un risultato del tutto favorevole.

Nell’ultimo anno mi sono occupata sostanzialmente d’altro, continuando però a gestire la pagina Facebook della biblioteca in cui lavoro e osservando attorno a me un livello di attenzione crescente al tema della comunicazione. Anche altri hanno cominciato a occuparsene. Forse ora non sono la persona più aggiornata sul tema, ma ho cercato di seguire a grandi linee l’evoluzione della piattaforma fino a quando, alcuni mesi fa, è accaduta una cosa che mi ha fatto sbattere il naso in un’evidenza: il deciso calo della portata dei post.

La “portata”, nei termini di Facebook, è il numero di persone che visualizzano un singolo aggiornamento. C’è una cosa non sempre nota ai non addetti ai lavori: ciò che ognuno di noi visualizza nel proprio feed di notizie non è la somma di ciò che pubblicano i suoi contatti, e giustamente, perché se così fosse l’effetto sarebbe puro rumore di fondo. Facebook utilizza un algoritmo per decidere che cosa presumibilmente ci interessa di più e solo quello ci fa vedere. Il resto, se non andiamo a cercarlo sui profili dei nostri amici o sulle pagine che seguiamo, non lo vediamo proprio.

Nel 2013 l’algoritmo è cambiato e, dal punto di vista dell’azienda Facebook, per ottimi motivi (come sempre lo spiega bene Vincenzo Cosenza qui).

Mettendosi dal punto di vista delle pagine, però, o almeno dal punto di vista delle pagine piccole o medio-piccole, l’effetto è stato radicalmente negativo. Di recente ho scaricato gli Insight (i dati statistici forniti da Facebook agli amministratori di pagina) per la pagina della mia biblioteca. Ho scoperto che, nel 2013, a fronte di una crescita dei liker del 24%, si è assistito a un calo di visualizzazioni del 35%. La linea editoriale è rimasta costante, non sono intervenuti altri fattori particolari, e dunque questo può solo essere l’effetto di un cambiamento strutturale nel modo in cui la piattaforma funziona.

L’andamento temporale della portata dei post nel 2013 lo conferma, dato che il crollo si concentra tutto sugli ultimi mesi dell’anno, in perfetta coincidenza con l’annuncio della modifica dell’algoritmo di visualizzazione:

portata2013

Perché dico che il problema si pone per pagine relativamente piccole? Il motivo si legge in questa immagine:

facebookDiciamo, semplificando, che a Facebook interessano due cose: i dati degli utenti e il giro di affari generato dalle pagine. In questo giro di affari rientra anche la recente possibilità di acquistare la visibilità dei post, ovvero di pagare per forzare l’algoritmo e “imporre” che i post vengano visualizzati sui feed di più persone. Se gestisco la pagina della Nike probabilmente ci posso investire sopra parecchi soldi, il gioco vale la pena. Se gestisco la pagina di una biblioteca, i termini della questione sono totalmente diversi. Tanto per dire, 12 post a settimana (quelli che effettivamente pubblico) richiederebbero quasi 2.500 euro l’anno se volessi investirci anche il minimo previsto per ognuno (4 euro), anche ammettendo per assurdo che io potessi fare acquisti online (il che non è). 2.500 euro all’anno sono più del budget dedicato agli acquisti di libri per moltissime biblioteche e la conclusione del ragionamento è quindi ovvia.

(Oltre al fatto che probabilmente sarei io la prima a ribellarmi all’idea che una pubblica amministrazione spendesse i soldi dei cittadini in questo modo, ma questo è un discorso più complesso).

Mi pare fra l’altro che il disinteresse di Facebook nei confronti delle pagine di piccole dimensioni sia confermato anche da un’altra caratteristica degli Insight e della forma in cui vengono presentati: quella massa di dati è leggibile nella sua interezza e nella sua complessità solo da un ufficio marketing, non da un comune amministratore di pagina che a fatica si arrabatta fra decine di fogli di calcolo dal significato ampiamente oscuro e che resta facilmente disorientato dai frequenti cambiamenti nelle metriche considerate.

Insomma, proprio ora che avevamo appena imparato a usarlo discretamente, forse è Facebook ad abbandonarci, dal momento che non rivestiamo alcun interesse economico. O almeno così pare in questo momento: Facebook ci ha già abituato a repentini cambiamenti nel layout, nella visualizzazione dei contenuti e così via.

Considerato tutto, l’idea di impostare i miei corsi su diversi strumenti mi pare oggi ancora più corretta. La scelta di privilegiare Facebook è stata strumentale e, in quanto tale, può benissimo essere messa in discussione. Può essere messa in discussione – a mio parere – persino l’idea divenuta nel frattempo divenuta dominante che uno degli obiettivi della comunicazione via social media sia l’engagement (ma questo sì che è un discorso complesso e lo lasciamo per un’altra volta). Quello che si può fare ora, invece, è sapere che è il momento di ricominciare a esplorare strade nuove, o di percorrere le vecchie con uno sguardo più attento.

Ad esempio.

Monitorare i dati di utilizzo generale: Facebook cresce ancora, ma lo fa fra tutte le classi di età? Calibrare gli sforzi: 12 post alla settimana valgono davvero la pena se Facebook non li mostra al mio pubblico? Continuare comunque a pubblicare contenuti di qualità: tutto sommato, mi pare che questo piccolo decalogo abbia ancora senso. Esplorare strumenti social alternativi: fino a pochi mesi avrei dissuaso la maggioranza dei bibliotecari a utilizzare Twitter per le loro biblioteche, ora sarei disposta a ripensarci (il profilo su Twitter della biblioteca ha, nell’ultimo anno, raggiunto un numero di follower piuttosto vicino a quello dei liker della pagina Facebook). Ricordare che non ci sono regole fisse: la comunicazione funziona bene con strumenti diversi, per persone diverse, in contesti diversi. Ricordare che il web non è il solo social, e che esistono strumenti come i siti (che forse abbiamo trascurato) e i blog (che non abbiamo mai seriamente iniziato a usare) che hanno un potere intrinseco di durata sul web e sui quali restiamo molto più indipendenti nelle nostre scelte rispetto a piattaforme destinate inevitabimente a sorgere e a tramontare.

Certo un sito, o un blog, comportano maggiore lavoro e maggiore consapevolezza di come funzioni la rete. Questo, a partire dallo sforzo cooperativo su cui si basa, a me sembra un bel tentativo. (Facendo parte della redazione non dovrei dirlo io, quindi, nel caso, obiettate).

16 pensieri riguardo “Che succede alle pagine Facebook?”

  1. Io, per esempio, Facebook lo uso per chattare con gli amici. E niente di più.
    Per informarmi uso Twitter e gli rss feed dei blog.
    Per una biblioteca sarebbe molto bello creare una newsletter nella quale aggiornare gli utenti su eventi e nuovi acquisti (e tanto altro). E anche un blog, ovvio.
    Però… Quanti italiani saranno iscriversi a una newsletter e leggono la posta?!
    Credo pochi.
    In molti usano Facebook ma non hanno l’abitudine di aprire la mail e leggerla e usarla come mezzo per informarsi.
    Purtroppo.

    1. Ciao Marco. Dipende anche da che tipo di biblioteca: la biblioteca di quartiere, quella superspecialistica di una facoltà scientifica o che altro? A chi vuole parlare? Perché lo vuole fare? Nel caso delle biblioteche pubbliche uno strumento come Facebook è sembrato l’ideale (e probabilmente, lo è ancora, tutto sommato) perché permetteva di inserirsi in modo “naturale” nel flusso degli aggiornamenti di persone che decidevano attivamente di seguirti, ma senza imporre loro uno sforzo attivo (decidere di consultare il sito della biblioteca, ad es.). Le Newsletter vengono utilizzate di frequente dalle biblioteche ma non ottengono risultati particolarmente potenti. Insomma il punto (per me) è capire cosa vale la pena fare, e a quale scopo, e muoversi di conseguenza.

  2. Bellissimo post, Virginia.
    Rileggendolo, però, mi accorgo che esiste la possibilità non remota che qualche bibliotecario che, al momento opportuno, abbia volontariamente ignorato ciò che avevano da offrire le piattaforme di social networking come Facebook, ora si senta legittimato a dire: “ma sì, comunque i risultati sono scarsi”.
    E questo secondo me è un male perché, come dici tu proprio qui sopra, vale forse ancora la pena gestire una pagina FB (e, aggiungo io, forse ancora di più in contesti minuscoli che non in realtà medio-grandi) poiché, citando sempre Cosenza, “anche se dovrà affrontare una competizione sempre più agguerrita, Facebook rimarrà ancora per molto la piazza principale per la maggioranza degli utilizzatori della rete.” (http://bit.ly/M8mw6Z)
    Insomma, io ho molta paura di certi fraintendimenti, poiché la scarsa attenzione data dalle biblioteche a questi strumenti (leggi: pagine e profili gestiti poco e male) non sarà superata all’arrivo di strumenti nuovi, dato che il problema principale, ovvero la mancanza di preparazione media dei bibliotecari (nei casi migliori semplice “goffaggine” e scarsa attitudine alla comunicazione web), sarà sempre lì.
    Poi, sul fatto che i blog siano una delle strade possibili per “durare” sul web, direi che con me sfondi una porta aperta =))

  3. Grazie Francesco, se può essere utile esplicitarlo, io non penso affatto che le pagine Facebook già avviate vadano ora abbandonate, né penso che sia stato lungimirante chi ha evitato di sporcarsi le mani fino a oggi con la vecchia, sporca piattaforma Facebook. Delle due, invece, ha perso un treno che magari non tornerà più, o magari sì, non lo sappiamo, ma di certo ha perso anni preziosi.
    Quello che voglio suggerire è che come a un certo punto non è bastato più il sito web monolitico della biblioteca o dell’istituzione, ora potrebbe non bastare più Facebook, domani potrebbe non bastare più Twitter ecc. ecc. Il punto è porsi il problema di essere in rete, e di esserci nel modo più efficace possibile.

  4. Ciao Virginia,
    quello che hai ben evidenziato purtroppo è una tendenza nota che con ogni probabilità si è accentuata con ‘entrata in borsa di facebook. In fin dei conti “l’antipatico” problema della monetizzazione è uno scoglio che prima o poi tutti i social network devono saper affrontare per “reggere nel mercato”. Per tanto il ricorso alle sponsorizzazioni se da un lato ha rappresentato una via abbastanza scontata che sicuramente ha generato un livellamento della portata dei post in termini di visualizzazione e interazioni (engagement), dall’altro è diventato un’opportunità per chi ha saputo farne un uso consapevole.)

    Personalmente avrei preferito ci fosse la possibilità di sottoscrivere una sorta di abbonamento (modello soundcloud ecc…) che garantisse il raggiungimento della fan base ma evidentemente questo sistema ci rende tutti molto più dipendenti.

    Facebook punta a diventare un newtork inclusivo (lo testimoniamo le recenti acquisizioni) che cercherà di trattenere sempre di più all’interno della piattaforma (motivo che spiega la penalizzazione dei contenuti esterni) con un presunto beneficio per gli investitori, i quali però giustamente lamentano anche a livelli ben più alti dei nostri (in termini di budget) la difficoltà di tracciare con precisione i tassi di conversione generati da una campagna.

    Quello che posso suggerire nel mio piccolo è di prestare sempre maggiore attenzione quando si decide di ricorrere alle inserzioni. Lo screenshot che ad esempio hai allegato come sicuramente saprai, si riferisce alla promozione semplificata che probabilmente molti utilizzano ma rischia di risultare dispersiva a meno che non si tratti di un grande brand come giustamente sottolineavi. Nei casi più di realtà più piccole forse converrebbe rivolgersi in prima istanza alla cerchia dei followers che effettivamente ci seguono ed eventualmente non escludere che dal “Pay per View” assegnato di default con budget “ottimizzato” si possa settare un “Pay lper Click” con un offerta da noi determinabile. Non avendo potenziali competitor sulla chiave che in questo caso restringerebbe esclusivamente alla nostra pagina forse l’obiettivo di garantire la buona riuscita di una comunicazione è perseguibile anche con cifre decisamente più contenute da quelle che hai indicato.

    In ogni caso sono convinto che la formula migliore passi dalla compresenza non esclusiva sui vari network che sono complementari per funzioni e possibilità.

    Una diretta su twitter è sicuramente più performante da seguire rispetto al faccialibro che ha palesemente copiato l’utilizzo delle hashtag trascurando perà gli gli aspetti di aggregazione legati alla ricerca. Diversamente l’utilizzo di immagini che spesso comunicano molto più delle parole ha un potenziale virale difficilmente paragonabile mentre un lavoro di storytelling invece può valorizzare la coesistenza dei contenuti generati sui vari social ed essere ospitata su una pagina dedicata e così via…

    Forse provando a fare ordine sulle tantissime cose che in realtà stanno emergendo e nonostante sia difficile trarre delle conclusioni mi permetto si suggerire alcune considerazioni.

    Il futuro se non è il presente è mobile, dunque puntare ad un’applicazione che possa aggregare i nostri network e in alcuni casi proponendo delle funzioni esclusive rappresenta a mio avviso un passaggio quasi obbligato che ci renderà indipendenti dalle oscillazioni dei vari social.

    Il sito non va sicuramente trascurato anzi dovrebbe mantenere una sorta di funzione collante e nei casi del blog proporre come fate qui contributi autentici e. stimolanti che in altri spazi della rete verrebbero fagocitati dalla proliferazioni dei cosiddetti “contenuti spazzatura”

    La newsletter, sfatiamo un piccolissimo mito non è mai decaduta del tutto, anzi. Per un e-commerce si identifica quasi con il core business se gestita con sistemi di profilazione e personalizzazione dei contenuti. Lo dimostrano i tassi di apertura degli applicativi dedicati (uno su tutti mailchimp :) che non sono lontanamente paragonabili alle visualizzazioni raggiunte su facebook.

    Detto questo è assolutamente notevole che si possano coltivare momenti di confronto come questi che non passano da lezioni frontali ma da condivisioni di esperienze anche molto diverse tra loro che sono convinto possono aiutarci a trovare delle soluzioni percorribili nel futuro/presente digitale che è tutto in costruzione ;)

    Grazie, Tiziano

      1. Figurati, mi occupo della segreteria dei corsi del Csbno e assisto gli utenti con deficit informatici. Ciao!

      2. Sei per caso a conoscenza di qualche sistema bibliotecario o singola biblioteca che abbia usufruito della possibilità di acquistare visualizzazioni?

      3. Si per quanto ne so io i colleghi della Fondazione per leggere hanno attivato delle campagne. Noi come ente ancora no e le considerazioni che ho fatto derivano più che altro da progetti personali. CIao!

    1. Che il numero dei fan sia falsato risulta evidente dal numero di visualizzazioni, infatti. Adesso (nel 2015) mi chiedo se non sarebbe opportuno lasciarle proprio perdere, queste pagine. La decisione di “uccidere” una pagina che ha teoricamente più di 10.000 fan non è facile da prendere però, e tantomeno da spiegare ai propri superiori (che generalmente si accontentano di poter vantare grossi numeri, qualunque cosa essi significhino)

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